Forspoken è uno di quei giochi che fin dall'annuncio si proponeva di essere un punto di rottura con la vecchia generazione. Pensato fin dal principio come titolo solo per la "next-gen" (ora diventata l'attuale generazione) e presentato col titolo provvisorio Project Athia, metteva in mostra le prodezze del Luminous Engine in un gioco open world di stampo fantasy in cui l'esplorazione dinamica era una delle promesse principali.
A distanza di due anni e mezzo, tanto ci è voluto dal primo annuncio all'arrivo su PS5, Forspoken si presenta con tante luci e altrettante ombre. Sia sul piano tecnico, sia su quello del gameplay. L'impatto visivo a volte è sontuoso, altre volte piatto, altre ancora magnifico e poi di nuovo ordinario. L'ampio mondo aperto sembra quasi incatenato in dinamiche ormai divenute una consuetudine, con missioni secondarie poco ispirate, tante iconcine da scoprire e cose di questo genere. Ma esplorarlo con il parkour magico ha davvero qualcosa di magico, perché è un sistema scenico e appagante. Almeno finché non ti trovi in ambienti un po' più chiusi, in cui il sistema di parkour diventa quasi un impiccio. Il combattimento d'altro canto mostra tante possibilità ed è piacevolmente personalizzabile sebbene sia leggermente macchinoso. Insomma, è un gioco che non riesce a emergere totalmente, pur rimanendo godibile.
Per raccontarvelo al meglio abbiamo chiamato in causa Marco Patrizi, che l'ha recensito sulle pagine di Tom's Hardware. Con Marco abbiamo tentato di capire quanto Forspoken ha soddisfatto le aspettative e soprattutto quanto la struttura open world sia arrivata a un limite dove ha ancora poco da dire.
Buon ascolto e buona visione!
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