Durante una sessione di Q&A tenutasi al Game Developers Conference, Phil Harrison, presidente dei Worldwide Studios di Sony Computer Entertainment, ha annunciato che PlayStation 3 sarà esente da qualunque vincolo regionale. In parole povere, sarà region free. Una caratteristica che rincorriamo da oltre un decennio, che ci ha spinto ad acquistare console d'importazione negli anni '90 per evitare gli enormi ritardi (e le pessime conversioni) delle versioni PAL dei giochi. Avere una console region free significa, o dovrebbe significare, poter utilizzare i giochi provenienti da qualunque area del globo senza alcuna necessità di modifiche o Action Replay. Harrison ha specificato che il vincolo sarà imposto solo ai film, lasciando i giochi liberi da annose catene. L'entusiasmo per la notizia, però, si smorza ponendosi due semplici domande: Come gestiranno la faccenda i publisher? La visione di un mercato region free è plausibile?
Nel 2001, fra le tante parole versate da Microsoft per il lancio di Xbox, ricordo che anche il colosso di Redmond aveva dichiarato una cosa analoga. "Xbox non avrà vincoli regionali", era risuonato nelle orecchie incredule dei videogiocatori. La notizia, poi, si modificò: la console sarebbe stata region free, ma i publisher avrebbero potuto vincolare i giochi a una sola regione, rendendoli di fatto region locked. E' semplice pensare a un mercato veramente libero, ma non è altrettanto semplice applicarne le regole.
Un mercato region free potrebbe funzionale soltano in presenza di tre fattori fondamentali: contemporaneità dei prodotti, eguale esperienza di gioco e prezzo analogo. Per contemporaneità dei prodotti intendo che un gioco, nella fattispecie, deve essere disponibile ovunque nello stesso giorno. L'eguale esperienza di gioco implica la localizzazione nei maggiori linguaggi e, non ultima, la compatibilità con i diversi sistemi televisivi. Il prezzo, infine, deve essere analogo per tutti i Paesi del mondo. Soddisfando queste condizioni, un mercato region free potrebbe funzionare a dovere in quanto eliminerebbero il problema dell'importazione parallela, una vera piaga per publisher e distributori, i quali si difendono con i region lock.
Bisogna, infatti, considerare che anche i publisher su scala mondiale come Electronic Arts, Activision, Sega e la stessa Sony, sono composti da sedi regionali che operano come entità distinte e, soprattutto, con contabilità separate. Le divisioni nipponica, americana ed europea - a sua volta divisa nelle varie sedi dei Paesi europei - di Sony, per esempio, dispongono di un proprio budget e hanno lo scopo di realizzare del profitto. Nel caso in cui il publisher si appoggi a un distributore locale, si applica lo stesso discorso. L'importazione parallela, se operata in maniera massiccia, impedisce una corretta ripartizione dei mercati, mettendo in diretta concorrenza le divisioni locali della stessa azienda. Per questo Sony si oppose fermamente all'importazione di PlayStation 2 e PlayStation Portable, tentando di imporre dazi doganali o di dissuadere i rivenditori con lettere dai toni pesanti: più PlayStation Portable o PlayStation 2 venivano importate, meno ne avrebbero vendute le divisioni europee di Sony. Lo stesso discorso, naturalmente, si può applicare ai giochi e ai vari publisher.
In virtù di ciò, non è difficile comprendere che lo scenario di region free necessita dei fattori contemporaneità/equità/prezzo per realizzarsi. Le differenze di prezzo fra giochi americani ed europei favoriscono l'importazione, allo stesso modo delle differenze temporali delle uscite. Ma non è sufficiente pubblicare un gioco nello stesso giorno e allo stesso prezzo. Il gioco region free deve essere localizzato e deve funzionare su sistemi PAL e NTSC in ugual modo, senza comprometterne la qualità. Nonostante la localizzazione ostacoli l'importazione parallela, rappresenta una delle maggiori difficoltà da superare per la contemporaneità dei prodotti. Le barriere linguistiche rappresentano un problema quando si parla di bambini e adolescenti, per i quali il linguaggio locale significa un incentivo all'acquisto.
Soddisfare i tre requisiti è tutt'altro che una passeggiata e non è detto che i publisher siano pronti - o abbiano semplicemente voglia - di modificare un modello di business che va avanti da decenni. Dubito altrettanto che Sony obbligherà i publisher a rendere i propri giochi universali. Non per essere pessimista, ma mi aspetto, quindi, che i buoni propositi di region free verranno nuovamente vanificati.
Nel 2001, fra le tante parole versate da Microsoft per il lancio di Xbox, ricordo che anche il colosso di Redmond aveva dichiarato una cosa analoga. "Xbox non avrà vincoli regionali", era risuonato nelle orecchie incredule dei videogiocatori. La notizia, poi, si modificò: la console sarebbe stata region free, ma i publisher avrebbero potuto vincolare i giochi a una sola regione, rendendoli di fatto region locked. E' semplice pensare a un mercato veramente libero, ma non è altrettanto semplice applicarne le regole.
Un mercato region free potrebbe funzionale soltano in presenza di tre fattori fondamentali: contemporaneità dei prodotti, eguale esperienza di gioco e prezzo analogo. Per contemporaneità dei prodotti intendo che un gioco, nella fattispecie, deve essere disponibile ovunque nello stesso giorno. L'eguale esperienza di gioco implica la localizzazione nei maggiori linguaggi e, non ultima, la compatibilità con i diversi sistemi televisivi. Il prezzo, infine, deve essere analogo per tutti i Paesi del mondo. Soddisfando queste condizioni, un mercato region free potrebbe funzionare a dovere in quanto eliminerebbero il problema dell'importazione parallela, una vera piaga per publisher e distributori, i quali si difendono con i region lock.
Bisogna, infatti, considerare che anche i publisher su scala mondiale come Electronic Arts, Activision, Sega e la stessa Sony, sono composti da sedi regionali che operano come entità distinte e, soprattutto, con contabilità separate. Le divisioni nipponica, americana ed europea - a sua volta divisa nelle varie sedi dei Paesi europei - di Sony, per esempio, dispongono di un proprio budget e hanno lo scopo di realizzare del profitto. Nel caso in cui il publisher si appoggi a un distributore locale, si applica lo stesso discorso. L'importazione parallela, se operata in maniera massiccia, impedisce una corretta ripartizione dei mercati, mettendo in diretta concorrenza le divisioni locali della stessa azienda. Per questo Sony si oppose fermamente all'importazione di PlayStation 2 e PlayStation Portable, tentando di imporre dazi doganali o di dissuadere i rivenditori con lettere dai toni pesanti: più PlayStation Portable o PlayStation 2 venivano importate, meno ne avrebbero vendute le divisioni europee di Sony. Lo stesso discorso, naturalmente, si può applicare ai giochi e ai vari publisher.
In virtù di ciò, non è difficile comprendere che lo scenario di region free necessita dei fattori contemporaneità/equità/prezzo per realizzarsi. Le differenze di prezzo fra giochi americani ed europei favoriscono l'importazione, allo stesso modo delle differenze temporali delle uscite. Ma non è sufficiente pubblicare un gioco nello stesso giorno e allo stesso prezzo. Il gioco region free deve essere localizzato e deve funzionare su sistemi PAL e NTSC in ugual modo, senza comprometterne la qualità. Nonostante la localizzazione ostacoli l'importazione parallela, rappresenta una delle maggiori difficoltà da superare per la contemporaneità dei prodotti. Le barriere linguistiche rappresentano un problema quando si parla di bambini e adolescenti, per i quali il linguaggio locale significa un incentivo all'acquisto.
Soddisfare i tre requisiti è tutt'altro che una passeggiata e non è detto che i publisher siano pronti - o abbiano semplicemente voglia - di modificare un modello di business che va avanti da decenni. Dubito altrettanto che Sony obbligherà i publisher a rendere i propri giochi universali. Non per essere pessimista, ma mi aspetto, quindi, che i buoni propositi di region free verranno nuovamente vanificati.